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letteratura

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Publio Virgilio Marone


--- Andes, 15 ott. 70 – Brindisi, 21 sett. 19 a.C. ---


nacque in un piccolo villaggio nei pressi di Mantova, da una oscura famiglia di coltivatori, appartenente alla piccola borghesia locale, romanizzata piuttosto di recente: il padre possedeva un poderetto lungo le rive del Mincio, felice e salubre luogo d'infanzia per il poeta.
La sua formazione ebbe inizio a Cremona, dove frequentò la scuola di grammatica, e dove, a quindici anni, prese la toga virile. Da Cremona si trasferì a Milano e poi nuovamente a Roma, alla scuola del retore Elpidio (esponente dell’indirizzo asiano), il quale annoverava tra i suoi discepoli i giovani che avrebbero formato la futura classe dirigente di Roma, fra cui ad es. Marco Antonio e Ottaviano.
Tuttavia, schivo per natura, non aveva talento oratorio, né intendeva perseguire la carriera forense,abbandonò così la retorica per dedicarsi agli studi filosofici.
Dopo la morte di Cesare, fra il 44 ed i primi mesi del 43, V. fece ritorno ad Andes, dove ritrovò l’amico della sua giovinezza, Asinio Pollione, che ricopriva l’incarico di distribuire le terre ai veterani. Grazie a lui, il poeta poté in un primo tempo sottrarre le sue terre all’esproprio: tuttavia, un anno più tardi, mentre era impegnato nella composizione delle "Bucoliche", i suoi campi di Mantova furono assegnati ai soldati di Ottaviano, per i quali si era rivelato insufficiente il territorio di Cremona. V. non dimenticò mai il dolore causato dalla perdita della sua terra, per la quale sentì sempre una viva nostalgia.
Perdute le sue terre nel mantovano, V. si trasferì a Roma, dove pubblicò le "Bucoliche". L’anno successivo entrò a far parte del circolo letterario di Mecenate.
Le Bucoliche sono la prima opera certa di Virgilio giunta fino a noi. Probabilmente composte tra il 42 e il 39 a.C., sono divise in dieci parti, come un insieme di componimenti isolati (ecloga).


Ecloga I : d’intonazione forse autobiografica. Il dialogo tra i due pastori Titiro e Melibeo avviene nella cornice della campagna mantovana. Melibeo è triste perché ha perduto i suoi beni; Titiro è invece sereno, perché un giovane a Roma gli ha concesso la libertà personale e il possesso della sua terra







l’ "Eneide" si inserisce pienamente nel genere epico , riuscendo a farsi nel contempo interprete dei valori della romanità e dello spirito di restaurazione morale augusteo, tanto da divenire il poema nazionale di Roma.
Oltre ad Omero, sicuramente modello principale - altri elementi ci riportano ai poeti del ciclo epico, agli alessandrini, e in particolare ad Apollonio Rodio, ai tragici greci e romani, agli orfici, a Nevio e a Ennio. Né bisogna dimenticare che il mito di Enea aveva assunto per i Latini un valore nazionale e che per lo più ne veniva ammessa finanche la storicità.
L'Eneide è la più imporante opera di Virgilio, scritta per dare gloria all'imperatore Cesare Augusto. L'opera è divisa in dodici libri.


Le peculiarità del popolo romano


Da molti testi di varia natura possiamo desumere quanto i Romani considerassero importante lo ius privatus e lo ius publicus che regolavano la loro vita come singoli individui e come popolo.
Ne sono un esempio passi in cui gli autori latini operano un confronto con gli altri popoli.
All'inizio delle Tuscolanae disputationes, il dialogo in cinque libri sul tema della felicità, Cicerone propone al dedicatario Bruto un confronto tra i Romani e i Greci . Cicerone, dopo aver chiaramente rimarcato la superiorità del popolo romano nei costumi, nelle istituzioni, nell'amministrazione del patrimonio familiare, non esita ad attribuire agli antenati il merito di aver saputo provvedere allo Stato con leggi senza dubbio migliori di quelle dei Greci. I
Il tema della peculiarità del popolo romano ritorna ancora in un celebre passo del VI libro dell'Eneide
(vv. 847-853). Virgilio vi propone un confronto tra i Romani e gli altri popoli.





ENEA







Enea incarna le virtù tipiche del"mos maiorum" ed è una figura nuova nel campo dell'epica antica: egli è un eroe doloroso e infelice, pronto a compiere fino in fondo il suo dovere, ma continuamente lacerato da dubbi. incertezze, esitazioni, senza la forza di opporsi titanicamente al destino e senza la gioia orgogliosa di chi entusiasticamente collabora alla sua realizzazione.
Queste caratteristiche hanno generato molte incomprensioni e molte sono state le interpretazioni del personaggio di Enea ("Enea è un pover'uomo, è l'uomo in amore inferiore all'amore..."- Benedetto Croce ).
Enea non si sottrae al destino, che ha fatto di lui un eroe: la sua sottomissione è totale, venata tuttavia dall' amarezza di dover continuamente rinunciare ai propri sentimenti.
In questa dimensione va vista anche la sua relazione con Didone: ancora una volta affiora drammatica e terribile la tragedia di un uomo che non è più padrone dei moti del proprio animo, che è condannato a provare sentimenti di un comune mortale, ma a cui non è lecito scegliere in base ad essi.
In Enea ritroviamo tutte le virtù che stavano alla base della tradizione: la "pietas", la "fides" e soprattutto la "fortitudo" unita alla "patientia", cioè la subordinazione totale all'imperativo categorico del destino a cui va sacrificato ogni sentimento individuale.




 
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