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classe 5 > LATINO > AUTORI

TACITO, MORTE DI SENECA


LXII. Seneca, impavido, chiese che gli portassero le tavole del testamento e, poiché il centurione rifiutò, si volse agli amici dichiarando che, dal momento che gli si impediva di dimostrare la sua gratitudine, lasciava a loro la sola cosa che possedeva e la più bella, l'esempio della sua vita. Se avessero di questa conservato ricordo, avrebbero conseguito la gloria della virtù come compenso di amicizia fedele. Frenava, intanto, le lacrime dei presenti, ora col semplice ragionamento, ora parlando con maggiore energia e, richiamando gli amici alla fortezza dell'animo, chiedeva loro dove fossero i precetti della saggezza, e dove quelle meditazioni che la ragione aveva dettato per tanti anni contro le fatalità della sorte. A chi mai, infatti, era stata ignota la ferocia di Nerone? Non gli rimaneva ormai più, dopo aver ucciso madre e fratello, che aggiungere l'assassinio del suo educatore e maestro. LXIII. Come ebbe rivolto a tutti queste parole ed altre dello stesso tenore, abbracciò la moglie e, un po' commosso dinanzi alla sorte che in quel momento si compiva, la pregò e la scongiurò di placare il suo dolore e di non lasciarsi per l'avvenire abbattere da esso, ma di trovare nel ricordo della sua vita virtuosa dignitoso aiuto a sopportare l'accorato rimpianto del marito perduto. La moglie dichiarò, invece, che anche a lei era destinata la morte, e chiese la mano del carnefice. Allora Seneca, sia che non volesse opporsi alla gloria della moglie, sia che fosse mosso dal timore di lasciare esposta alle offese di Nerone colei che era unicamente diletta al suo cuore: "Io ti avevo mostrato", disse "come alleviare il dolore della tua vita, tu, invece, hai preferito l'onore della morte: non sarò io a distoglierti dall'offrire un tale esempio. Il coraggio di questa fine intrepida sarà uguale per me e per te, ma lo splendore della fama sarà maggiore nella tua morte". Dette queste parole, da un solo colpo ebbero recise le vene del braccio. Seneca, poiché il suo corpo vecchio ed indebolito dal poco cibo offriva una lenta uscita al sangue, si recise anche le vene delle gambe e delle ginocchia, ed abbattuto da crudeli sofferenze, per non fiaccare il coraggio della moglie, e per non essere trascinato egli stesso a cedere di fronte ai tormenti di lei, la indusse a passare in un'altra stanza. Anche negli estremi momenti, non essendogli venuta meno l'eloquenza, chiamati gli scrivani, dettò molte pagine, che testualmente divulgate tralascio di riferire con altre parole.


(Tacito, Annales, XV, 62-63)


UN RITRATTO MALEVOLO DI TIBERIO



Le preghiere furono quindi rivolte a Tiberio. Ma lui si dilungava sulla grandezza dell'impero e sulla propria modestia. Solo la mente del divo Augusto - spiegava - poteva sostenere tanta mole; quanto a sè, chiamato da Augusto a una parte delle responsabilità aveva, con l'esperienza, appreso quanto arduo e quanto soggetto ai capricci della sorte fosse il grave compito di reggere tutto. Non dovevano perciò, in uno stato che poteva contare su tanti uomini illustri, trasferire tutto il potere nelle mani di uno solo: pi? persone, uniti i loro sforzi, avrebbero meglio assolto alle responsabilità  di governo. In tale discorso c'era più decoro formale che sincerità. A Tiberio, anche laddove nulla intendeva nascondere, sia per natura sia per abitudine, le parole riuscivano sempre evasive e oscure; in quell'occasione poi, nello sforzo di dissimulare il suo vero sentire, tanto più si avviluppavano in un equivoco intrico di ambiguità. Tuttavia i senatori, dominati dalla sola paura di lasciar trasparire che capivano, si effondevano in lamenti, lacrime e preghiere; tendevano le mani agli dei, alla statua di Augusto, alle ginocchia di Tiberio, quando questi ordini che si portasse e si leggesse il bilancio dell'impero steso da Augusto. Vi erano registrate le risorse dello stato, il numero dei cittadini e degli alleati sotto le armi, quante le flotte, i regni, le province, le tassazioni dirette e indirette, le spese ordinarie e i donativi. Tutto ciò Augusto aveva steso di suo pugno, con aggiunto il consiglio di non estendere i confini dell'impero, non si sa se per paura o per invidia.
Il senato si abbassava alle suppliche più umilianti, quando Tiberio disse per caso che, mentre non si sentiva all'altezza di reggere tutto lo stato, avrebbe perciò accettato il governo di quella parte che gli fosse affidata. Allora Asinio Gallo: “Ti chiedo, o Cesare, quale parte dello stato vuoi che ti sia affidata”. Sconcertato dalla improvvisa domanda, per un po' rimase in silenzio; poi, ripresosi, rispose che non si addiceva affatto al suo riserbo scegliere o ricusare ciò a cui preferiva sottrarsi del tutto. Replicò Gallo (aveva infatti dalla espressione del volto intravisto il dispetto di Tiberio) che la domanda non mirava a dividere ci? che era inseparabile, bensì a rendere evidente, per sua stessa dichiarazione, che il corpo dello stato era uno e andava guidato dalla mente di uno solo. Aggiunse parole di lode per Augusto e ricordò allo stesso Tiberio le sue vittorie e l'ottima prova data di sì in tanti anni di attività politica. Ma non per questo riuscì a placarne l'ira. Già da tempo era inviso a Tiberio, il quale pensava che Gallo, dopo il matrimonio con Vipsania, figlia di Marco Agrippa e già moglie di Tiberio, avesse ambizioni superiori a quelle di semplice cittadino e conservasse la fierezza del padre Asinio Pollione.

Tacito, Annales, I,11-12 (Il ritratto di Tiberio)








PETRONIO E IL SATYRICON



IL ROMANZO IN GRECIA


* I secolo a.C. Anonimo "Romanzo di Nino" è il testo più antico che possediamo coi caratteri del romanzo. Narra le vicende d'amore di Nino, fondatore del regno assiro, con la cugina Semiramide.
* I - II secolo d.C. stagione d'oro del romanzo greco:
- "Dafni e Cloe" di Longo Sofista
- "Lucio o l'asino" dello Pseudo Luciano
- "La storia vera" di Luciano

I CARATTERI DEL ROMANZO GRECO


Caratteri comuni:
*Narrazione in prosa
*Trama simile: due innamorati bersagliati dalla sorte che poi riescono a unirsi
*Gusto per meraviglioso, romanzesco e esotismo
*No erotismo smaccato
*Tono serio
*Lingua elevata
*Pubblico raffinato e colto


LA NARRATIVA NELLA LETTERATURA LATINA


*Il mediatore tra la narrativa greca e quella romana fu CORNELIO SISENNA, uomo politico legato a Pompeo, storico ed oratore, il quale introdusse a Roma, traducendole in latino, le novelle di soggetto erotico avventuroso che circolavano in Grecia col nome di Milesiae, dalla patria del più famoso degli scrittori di tal genere Aristide di Mileto (II sec. a.C)


CARATTERISTICHE DELLA FABULA MILESIA


* Racconto fatto in prima persona con intonazione autobiografica
* Inserzione nel racconto principale di novelle narrate al protagonista

Attraverso Sisenna entra nella letteratura latina la novella erotica che circola e prospera sottobanco, rifiutata o ignorata dalla letteratura ufficiale.

IL ROMANZO A ROMA


* Due opere vengono classificate come romanzi:
1) "Satyricon" di Petronio : età giulio-claudia (I sec. d.C)
2) "Metamorfosi" di Apuleio : età degli Antonini (II secolo d.C.)


LA QUESTIONE PETRONIANA


* Il problema riguarda l'autore e l'epoca della composizione. Due sono le posizioni degli studiosi:
1) Il Satyricon fu scritto in età neroniana e verosimilmente ne è autore lo stesso Petronio di cui parla Tacito nel libro XVI degli Annales.
2) Il Satyricon fu scritto tra il II ed il III secolo e non è possibile stabilirne l'autore

IL GIUDIZIO DI BENETTO CROCE


* L'autore del Satyricon fu un raccontatore dell'enorme sessuale, bestiale e plebeo e in ciò raggiunse anch'egli il colossale.
* Opere di questa forma […] inducono a fantasticherie lettori e critici, a ricerche di sensi allegorici, a tentativi di scoprirvi una misteriosa vena poetica.

IL TITOLO "SATYRICON"



L'etimologia può essere ricondotta:
- ai Satiri in quanto creature mitiche tradizionalmente collegate con la sfera sessuale, e dunque con allusione al contenuto osceno dell'opera
- alla latinissima (e prima ancora etrusca) satura, il ben noto genere letterario caratterizzato da mescolanza di stili e dalla presenza di parti in prosa e parti in poesia, con allusione quindi alla forma dell'opera.

EPOCA E SOCIETA'



Ogni allusione storica, sociale, politica, giuridica ed economica fa riferimento all'epoca giulio-claudia ed, in particolare, al Principato neroniano.
* Presentazione della realtà senza esprimere un giudizio specifico, ma mantenendo un distacco velato di ironia e sarcasmo.
* Resa di contenuti seri in forma comica


I MESSAGGI


1. Una satira della società contemporanea;
2. Un significato allegorico;
3. Una parodia della vita e delle letteratura;
4. Un puro lusus letterario;


MODELLI E STRUTTURA


Omero
Romanzo greco
Satira romana
Fabula Milesia
Satira menippea


Il Satyricon e
la società romana del I secolo d.C.


*Guerra alle convenzioni morali, sociali e letterarie in nome di una NOVA SIMPLICITAS basata sulle descrizione della borghesia ricca di origine popolaresca, potente dal punto di vista economico, ma povera culturalmente e legata alle sue origini plebee, spesso servili (parvenus)

*Nuovi ricchi che hanno come unico valore il denaro
Credono in un sistema di valori solo economico (unico elemento non dominabile con ricchezze è la morte)
* Scimmiottano i veri signori dal punto di vista culturale

Petronio racconta di questa classe con DISTACCO, senza invidia, ma senza simpatia.
Ha però riserve sulla pacchianeria e cattivo gusto dei parvenus essendo Petronio un aristocratico conservatore, colto e raffinato, elegantiae arbiter
Petronio, pur appartenendo ad un' altra classe, sconfitta dalle dinamiche storiche, ma superiore culturalmente, sa che quel ceto, grazie alla sua ricchezza e vitalità, diventerà il nuovo ceto dirigente.


LO STILE


* Petronio usa uno stile ricco ma nitido, molto veloce, e capace di accelerazioni, di sintesi descrittive molto efficaci e di rallentamenti studiati su qualche preciso particolare. Riesce a dare un senso di leggerezza anche nelle pagine più scabrose.
* Grande importanza assume poi la capacità di diversificare le voci e gli stili a seconda del narratore, soprattutto nei passaggi dalla prosa al metro, e a seconda del genere a cui appartengono.


SATYRICON : LA TRAMA







ENCOLPIO, ASCILTO, GITONE

Greca Urbs

Encolpio a scuola : dibattito sulla crisi dell'eloquenza (Agamennone )

La sacerdotessa di Priapo


LA CENA DI TRIMALCHIONE

Litigio di gelosia

Allontanamento di Encolpio

La pinacoteca con Eumopo


SULLA NAVE DI LICA E TRIFENA
(Encolpio, Gitone, Eumolpo)

Tempesta , naufragio: morte di Lica

a Crotone : truffe e amori vari


PETRONIO VISTO DA TACITO


Soleva egli trascorrere il giorno dormendo, la notte negli affari o negli svaghi; la vita sfaccendata gli aveva dato fama, come ad altri l'acquista un'operosità solerte; e lo si giudicava non un gaudente e uno scialacquatore, come la maggior parte di coloro che dilapidano il loro patrimonio, ma un uomo di lusso raffinato. Le sue parole e le sue azioni, quanto più erano libere da convenzioni e ostentavano una certa sprezzatura, tanto maggior simpatia acquistavano con la loro parvenza di naturalezza. Come proconsole in Bitinia tuttavia, e poi come console, egli seppe mostrarsi energico e all'altezza dei suoi compiti. Tornato poi alle sue viziose abitudini (o erano forse simulazione di vizi?) venne accolto tra i pochi intimi di Nerone, come maestro di raffinatezze, nulla stimando Nerone divertente o voluttoso, nello sfarzo della sua corte, se non avesse prima ottenuto l'approvazione di Petronio. Di qui l'odio di Tigellino, che in Petronio vedeva un rivale a lui anteposto per la consumata esperienza dei piaceri. Egli si volge quindi a eccitare la crudeltà del principe, di fronte alla quale ogni altra passione cedeva; accusa Petronio di amicizia con Scevino, dopo aver indotto con denaro un servo a denunciarlo, e avergli tolto ogni mezzo di difesa col trarre in arresto la maggior parte dei suoi schiavi.

(Tacito, Annales XVI 18-19)


LA MORTE DI PETRONIO


In quei giorni Nerone si era spinto in Campania, e Petronio, spintosi fino a Cuma, venne qui trattenuto. Egli non sopportò di restare oltre sospeso tra la speranza e il timore; non volle tuttavia rinunciare precipitosamente alla vita; si tagliò le vene e poi le fasciò, come il capriccio gli suggeriva, aprendosele poi nuovamente e intrattenendo gli amici su temi non certo severi o tali che potessero acquistargli fama di rigida fermezza. A sua volta li ascoltava dire non teorie sull'immortalità dell'anima o massime di filosofi, ma poesie leggere e versi d'amore. Quanto agli schiavi, ad alcuni fece distribuire doni, ad altri frustate. Andò a pranzo e si assopì, volendo che la sua morte, pur imposta, avesse l'apparenza di un fortuito trapasso. Al testamento non aggiunse, come la maggior parte dei condannati, codicilli adulatori per Nerone o Tigellino e alcun altro potente; fece invece una particolareggiata narrazione delle scandalose nefandezze del principe, citando i nomi dei suoi amanti, delle sue donnacce e la singolarità delle sue perversioni: poi, sigillatolo, lo inviò a Nerone. Spezzò quindi il sigillo, per evitare che servisse a rovinare altre persone "

( Tacito, Annales XVI 19 ) 









 
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